Riprendiamo e facciamo nostre le considerazioni di padre Kizito Sesana, critico verso un articolo de La Repubblica che ha distorto le sue parole. In momenti come questo, l’accuratezza dell’informazione è della massima importanza.
Nairobi, giovedì 26 marzo 2020
Ieri sera la solita conferenza stampa delle sei è stata tenuta non dal ministro della sanità ma direttamente dal presidente Uhuru Kenyatta. Ha detto che il primo paziente di coronavirus keniano è guarito, che il totale dei malati è 28, ma sono tutti in condizioni non gravi. Ha poi annunciato misure per alleviare il peso economico della crisi, ma anche che da domani sera sarà in vigore a tempo indeterminato il coprifuoco dalle 7 di sera alle 5 del mattino. Una misura che evita il totale shutdown, ma che sarà comunque difficile da far osservare. Stamattina le TV locali intervistavano dal vivo la gente che andava a lavorare a piedi, lunghissime code che si muovono dai quartieri poveri verso i centri commerciali e le zone industriali, i gestori di bancarelle che già mettevano in vendita chapati e mandazi cucinati all’aperto, chiedendo il loro parere. Le risposte che tornavano più frequenti erano “se non lavoro stasera la mia famiglia non mangia” e “meglio morire di corona o di fame?”. Oggi farò un giro a visitare i bambini, per verificare che siamo pronti a sostenere questa situazione per almeno i prossimi due mesi.
Verso la fine della lunga conferenza stampa del presidente, un’amica italiana che risiede a Nairobi mi ha scritto: “Ma sei tu che hai scritto ‘sta roba?”, e mi segnala questo link.
Un’amica italiana che risiede a Nairobi mi ha scritto: “Ma sei tu che hai scritto ‘sta roba?”.
Prima che mi riesca di leggerlo mi arriva un messaggio di un amico napoletano, che è venuto a Kivuli già diverse volte, con la stessa segnalazione e la domanda incredula: “Ma è vero?”.
In effetti l’ampio uso di citazioni dai miei post in questo pezzo fa credere al lettore che io condivida il titolo del breve articolo e la sua impostazione. Cosi non è. Non ho mai scritto o visto di persona ma neanche sentito parlare di “episodi di violenza fisica e verbale che hanno coinvolto in particolare statunitensi ed europei, tra cui molti italiani”. Alcune opinioni della giornalista sono legate al mio virgolettato in modo che si potrebbe credere che la giornalista stia continuando ad esporre il mio pensiero. Cosi non è. Addirittura nel virgolettato ci sono piccole aggiunte, come “il governo è pronto a schierare l’esercito” e “così si rischia il disastro”. Quelle frasi, cosi come sono e come sono legate alle frasi precedenti, non sono mie, e rafforzano l’impressione di una visione della società keniana che chi mi conosce sa bene non essere la mia.
Vivo a Nairobi dal 1988, e qui godo dell’amicizia e dell’affetto di tanti keniani. Questo articolo li offende.
Vivo a Nairobi, dove mi sono sempre sentito ben accolto, dal 1988, e qui godo dell’amicizia e dell’affetto di tanti keniani. Alcuni di loro li considero miei maestri, altri miei figli. Questo articolo li offende.
Ho avuto in passato molti incontri, e anche profonde amicizie, con giornalisti professionisti de La Repubblica e di altri importanti mass media e mai mi è accaduto che le mie parole siano state così mal interpretate. Che poi in un articolo – sia pur pubblicato solo online – di una testata che conosco come seria, sfugga un refuso come “missionario combiniamo” mi fa pensare che anche il livello dei correttori di bozze sia sceso parecchio.
Ringrazio invece i mass media che hanno riportato integralmente e correttamente i miei post, come Africa rivista, e le radio che mi hanno chiamato per brevi interviste in diretta.