Lusaka, lunedì 21 dicembre 2020
Ho iniziato a scrivere questo post la sera dell’8 dicembre e l’ho finito solo un minuto fa.
Stamattina, 8 dicembre, gli ultimi dei 40 ragazzi maggiorenni che ci erano stati affidati all’inizio di aprile hanno lasciato le case di Koinonia. Nelle scorse settimane sono stati loro ad assorbire quasi tutto il mio tempo e le mie energie. Così arrivavo a sera senza avere la forza di scrivere qualche riga per aggiornare gli amici.
Sono state giornate in cui i collaboratori più stretti in questo programma, Harrison, Robert e Bernard mi hanno aiutato a contattare le famiglie dei ragazzi. Non è stato facile, qualcuno aveva lasciato il villaggio di origine, magari a 800 km da Nairobi, 10 anni fa. Un paio appena maggiorenni erano già stati ospitati da istituzioni che all’avvicinarsi del pericolo Covid-19 avevano pensato bene di invitarli a ritornare a casa, cioè di rimetterli in strada. Ma c’è stato anche John, che per il dialetto parlato si capiva che era originario di una delle periferie agricole di Nairobi, ma non voleva assolutamente dirci dove fosse la sua famiglia perché aveva paura che tornando a casa sarebbe stato punito per un orribile misfatto di anni fa. Allora ad un certo punto ho dovuto fare il duro e dirgli, «Va bene, o domattina tu ci porti a casa tua, o io ti porto alla stazione centrale di polizia e saranno loro a decidere cosa fare di te». Così ha accettato di guidarci verso casa sua, ed abbiamo trovato una famiglia contadina che vive discretamente bene allevando galline da carne, papà e mamma e fratelli e sorelle minori che al rivederlo hanno pianto di commozione perché l’avevano dato per morto. Il terribile misfatto finalmente è venuto alla luce. Aveva 14 anni quando nel 2015 il papà gli aveva dato la bicicletta e, sistemate in una gabbia sul portapacchi, 10 galline vive da andare a vendere al mercato di Keserian. Lui aveva venduto le galline, abbandonata la bici, e poi speso tutto per comperarsi un telefonino. Senza più il coraggio di tornare a casa e raccontare tutto al papà.
Poi quando il volonteroso sgarbugliatore sta perdendo la pazienza e vorrebbe buttar via amo, lenza e canna, improvvisamente si disfa un nodo e tutto il filo appare chiaro, e si capisce come si deve continuare.
Altre storie erano più complicate. Ci son voluti lunghi incontri faccia a faccia, cercando di capire insieme come mai le loro vite avevano preso una direzione così sbagliata. Mi son ricordato di quando, bambino durante le vacanze estive, andavo a pescare arborelle con canna e lenza. Mi bastava attraversare la strada per essere sulla riva del lago, a Lecco. Ma ogni mattina la prima cosa da fare era sgarbugliare il filo che il giorno precedente era stato messo via in fretta e furia nell’eccitazione di tornare a casa con una manciata di pesciolini. Sgarbugliarlo era un notevole esercizio di pazienza.
Ecco, così è stato con questi ragazzi. Cercare insieme di sgarbugliare la loro vita. Trovare l’inizio del filo, disfare un nodo. Per scoprire subito dopo che ce n’è un altro più intricato. Riprendere il filo. Pazientemente aprire il nodo, evitando giudizi moralistici ed inutili rampogne. Ricominciare. In un processo così coinvolgente che dopo un po’ il ragazzo dalla vita ingarbugliata trascina lo sgarbugliatore e non si capisce quale dei due sia più ingarbugliato… I nodi si intrecciano e si complicano. Poi quando il volonteroso sgarbugliatore sta perdendo la pazienza e vorrebbe buttar via amo, lenza e canna, improvvisamente si disfa un nodo e tutto il filo appare chiaro, e si capisce come si deve continuare. Adesso si può incominciare a pescare. C’era il Grande Sgarbugliatore che, sorridendo, senza farsi vedere, ci ha dato una mano, ci ha accarezzato direbbe papa Francesco, e ci ha fatto trovare il filo di amore che dava senso a quando sembrava una matassa ormai inutile.
«In questo tempo difficile, anziché lamentarci di quello che la pandemia ci impedisce di fare, facciamo qualcosa per chi ha di meno: non l’ennesimo regalo per noi e per i nostri amici, ma per un bisognoso a cui nessuno pensa»
Abbiamo dovuto fare interventi che singolarmente non sono stati costosi, ma nell’insieme sarebbero diventati insostenibili. Gli amici vecchi e nuovi hanno saputo sostenerci prevenendo il semplice suggerimento di papa Francesco all’Angelus di ieri. «In questo tempo difficile, anziché lamentarci di quello che la pandemia ci impedisce di fare, facciamo qualcosa per chi ha di meno: non l’ennesimo regalo per noi e per i nostri amici, ma per un bisognoso a cui nessuno pensa». Il senso del Natale: a Dio che si è fatto dono per me, rispondo facendomi dono per gli altri.
Foto: la sera del 7 dicembre abbiamo fatto un piccola festa per celebrare chi stava partendo e due ragazzi cresciuti a Kivuli che si sono laureati, Wilson in Scienze dalla Nutrizione e Phillip in Farmacia.