Nairobi, lunedì 16 marzo 2020
Ieri pomeriggio il presidente Uhuru Kenyatta ha annunciato che sono stati trovati altri due casi di coronavirus e di conseguenza, in aggiunta ai provvedimenti presi lo scorso venerdì, oggi, lunedì 16 marzo, saranno chiuse tutte le scuole primarie e secondarie, mercoledì chiuderanno i collegi (boarding school), venerdì le università e istituti superiori. Per i prossimi 30 giorni i confini saranno sigillati e solo i cittadini keniani (o gli stranieri provvisti di permesso di lavoro) potranno entrare in Kenya. Le imprese vengono invitate a far lavorare i loro dipendenti da casa. Si invita anche a non usare contanti, ma carte di credito e Mpesa (transazioni col cellulare), a minimizzare assembramenti, servizi religiosi, funerali, matrimoni, e a non fare spostamenti inutili per evitare i contatti sui mezzi di trasporto. I centri commerciali devono mettere a disposizione dei clienti acqua e sapone o disinfettanti, e disinfettare regolarmente i locali.
Siamo anche noi entrati nel tempo del coronavirus, e c’è da aspettarsi che nel giro di 24 ore annunci simili verranno dai paesi vicini.
Per il momento alcune disposizioni sembrano più degli inviti o esortazioni che obblighi. Non c’è un esplicito invito a restare a casa.
Insomma siamo anche noi entrati nel tempo del coronavirus, e, visto il ruolo un po’ di guida che il Kenya ha in questa area del mondo, c’è da aspettarsi che nel giro di 24 ore annunci simili verranno dai paesi vicini, Zambia inclusa.
A Koinonia stamattina avremo un incontro per vedere come proteggere i nostri ragazzi e prevedere come agire quando la situazione precipiterà, come inevitabile. Per esempio, dove andranno gli studenti che sponsorizziamo nelle scuole superiori, inclusa la nostra Domus Mariae, quando le scuole chiuderanno? La quasi totalità di loro proviene da Kibera e Kawangware, quartieri con situazioni igenico-sanitarie disastrose. Normalmente vanno a “casa” per le vacanze, perché non ci sono alternative, ma quando i contagi aumenteranno sarà come mandarli al macello. Non capiamo bene dove si situano le nostre case nelle disposizioni governative, non sono né scuole né istituti. Come faremo ad isolare i bambini della Casa di Anita, Kivuli, Tone la Maji, quando inevitabilmente verrà richiesto di farlo? E i 22 bambini che la polizia ci ha portato solo due settimane fa, che sono attualmente a Ndugu Mdogo perché non hanno alcun contatto con le famiglie di origine? Tante domande difficili.
Cercheremo, come sempre, che siano i ragazzi stessi ad indicarci la direzione, facendoci conoscere i loro problemi e cercando insieme le soluzioni individuali migliori per tutti.
Ieri, prima dell’annuncio, ho visto i ragazzi della Domus Mariae per la messa e poi quelli di Tone la Maji. A loro sembrava ancora tutto normale, si sono preoccupati quando ho prospettato la chiusura delle scuole che poi è stata annunciata. I più piccoli, come Mwangi che è la mascotte di Tone la Maji (e, secondo lui, futuro campione di calcio), non capivano e mi si stringevano intorno confusi e spauriti, mentre io cercavo di dire: “Ma è proprio questo che ho appena detto di non fare, non ammassatevi tutti insieme!”.
Cercheremo, come sempre, che siano i ragazzi stessi ad indicarci la direzione, cercando insieme le soluzioni individuali.
Temo che nonostante le buona volontà del governo keniano di tenere i contagi sotto controllo, di fatto a Nairobi ci avviamo verso una soluzione tipo quella auspicata da Boris Johnson in Gran Bretagna: la cinica accettazione di aspettare che si attivi l’immunità di gregge.
Rientrato a Kivuli ho visto l’immagine del papa a Roma che va a pregare nella chiesa di San Marcello al Corso. Quella foto, quell’atteggiamento del papa ci dice che la preghiera non è un amuleto o un juju contro il male, ma una strada di vita, di condivisione, di servizio. Come le preghiere che hanno espresso i ragazzi di Tone la Maji alla fine del nostro incontro.
Nel Vangelo di ieri abbiamo sentito Gesù dire alla Samaritana: “Ma viene un’ora, ed è adesso, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità”. Non nelle chiese, nelle liturgie, nei codici di diritto canonico, nelle sofisticate interpretazioni, ma in Spirito e verità. Non sono un esegeta, ma a me pare di capire che la verità dello Spirito di Dio sia una sola: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”.
Nota bene. Ringrazio tutti coloro che hanno reagito al mio post dell’altro ieri con parole di amicizia, incoraggiamento e condivisione. Siamo tutti sulla stessa barca. Anche se alcuni hanno i remi, e altri no.