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YOUTH, il Calendario Amani 2024
A comporre la ventisettesima edizione del nostro tradizionale calendario sono tredici scatti del fotogiornalista romano Luca Catalano Gonzaga. Immagini di una gioventù che, nonostante tutto, si ostina ad esistere, trasudando vita e chiedendo futuro.
Anno XXIII, n. 2 Novembre 2023 - di Renato Kizito Sesana
Ne riportiamo il teso introduttivo di padre Renato Kizito Sesana, giornalista e missionario impegnato in Africa da più di 40 anni.
Scrivo questo testo nel bugigattolo che da 40 anni è la mia sala operativa a Mthunzi, mentre Harris e Nick preparano tagliatelle con la storica macchinetta portata dall’Italia e io riscaldo il ragù fatto ieri per i pochi bambini che sono rimasti qui in questo giorno di vacanza. Subito mi assale una domanda, che poi si declina in diversi modi: quanto sei credibile, tu italiano di 80 anni, se scrivi sul presente e futuro dei giovani africani? È tutto qui quanto sei venuto a fare? Tagliatelle e ragù? Conosci davvero la durezza della loro vita presente e i sogni che li abitano?
Ieri era già notte fonda quando siamo andati in strada, nel centro di Lusaka, a due passi dal più grande centro commerciale della città e dal Central Post Office. Un operatore di strada di Koinonia aveva organizzato un appuntamento nel buio di un sovrappasso della ferrovia. Sopra di noi scorre la strada a quattro corsie illuminata a giorno ma qui, dove incontriamo una trentina di giovanissimi fra i 9 e i 18 anni – sette di loro ragazze – vestiti di stracci, alcuni con solo la T-shirt nel freddo invernale di questa notte di agosto, c’è squallore e sporcizia. Abbiamo portato pane e latte per tutti, ci cantano un’improvvisata canzone di ringraziamento. Poi quasi uno a uno mi tirano da parte e mi raccontano le loro storie di sofferenza e di abbandono, la loro disperata sete di un adulto che davvero si prenda cura di loro, non dei poliziotti che li puniscono a manganellate solo perché esistono, la stanchezza degli sguardi schifati, o anche delle stupide prediche, di chi gli dà qualcosa e gli raccomanda di andare a scuola e di chi lancia una monetina e si allontana.
Ho un senso di impotenza. La schiena mi duole, oggi sono già stato in piedi troppo a lungo, il cuore non sopporta ciò che vede. Come possono questi ragazzi passare la notte qui? Dove sono i genitori e la tradizionale famiglia allargata? Cosa è andato così storto che in due o tre generazioni il tessuto sociale si è corrotto fino a rendere normali queste situazioni? Dov’è la dignitosa povertà del villaggio, dove ogni bambino era circondato da affetto? Certo, ci sono studi accademici che ti spiegano questo disastro. Ma a Charles, che mi stringe la mano – e anche il cuore –, la spiegazione delle dinamiche che lo hanno impoverito non interessa. Mi chiede di mangiare e di andare a scuola. Il resto è accademia.
Nei loro volti vedo i volti delle fotografie di Luca Catalano Gonzaga: bambini pescatori e contadini, raccoglitori di rifiuti o di canna da zucchero, bambine che all’alba devono andare a prendere acqua per tutta la famiglia, bambini e bambine che vendono di tutto, a volte anche i loro corpi, ai margini delle strade. Bambini delle famiglie che fuggono dalle guerre. Degli impoveriti dall’avidità dei troppo ricchi: noi.
I giovani africani devono imparare da soli il difficile mestiere di vivere. Gli adulti non sono più capaci di educare le nuove generazioni a essere persone libere. E loro, i giovani, non hanno alternativa. Si buttano nella vita e costruiscono il loro futuro da soli.
Non che questa sia una cosa che succede solo in Africa, ma qui l’evidenza ti acceca. La maggioranza degli adulti sta imparando a vivere in un mondo che accelera troppo per la loro capacità di adattamento e li risucchia in una logica esterna se sono ricchi e potenti, o li emargina se sono poveri diavoli, o poveri cristi.
Sono stati messi fuori gioco dalla modernità, non sono più capaci di prendersi cura dei giovani.
A chi ha la fortuna di andare a scuola viene insegnata la scienza, ma i docenti stessi non capiscono il mondo in cui vivono. Educare vuol dire insegnare a vivere, cioè trasmettere conoscenza e sapienza. Questo non avviene più. Educare è diventato solo trasmettere nozioni. Non si sa più cosa sia la sapienza di vita.
Educare non vuol dire che gli adulti hanno tutte le risposte. Il genitore, o l’adulto di riferimento, non deve pontificare, imporre: deve aiutare a vivere da persona libera, lasciando che nel giovane fiorisca il desiderio di conoscenza e sapienza per essere pienamente se stesso, pienamente libero. Essere se stessi, ma non il se stessi che sa sempre come giustificarsi. Il se stessi che aspira a crescere e migliorare.
Di fronte al collasso educativo, a una generazione, la mia, che in Africa come in Europa si è rivelata incapace di educare, per nostra fortuna i giovani sono più saggi e resilienti di noi. Forse in Africa, da quel che mi sembra di capire, la sapienza ancestrale è rimasta dentro, nel profondo. Basta una piccola opportunità, una mano amica, e si trascinano fuori dall’abisso, sia pure a mani nude e sanguinanti. E ti sorridono, sorridono sempre, anche quando a sanguinare è il cuore.
I mass media africani oggi alimentano il sogno del self made man: ragazzi che erano in strada e oggi gestiscono business. Narrazione all’americana e fuorviante. Non dicono che quel ragazzo ha uno zio che è ministro, o una famiglia ricca che gli ha spianato la strada. La realtà è che chi nasce povero in Africa resta irrimediabilmente povero, e solo i figli delle élite ammanicate con il potere politico possono emergere. Per gli altri fare un salto di status sociale comporta lacrime e sangue. E non è detto che riesca.
Alimentare questi sogni è avere già perso, è come combattere la corruzione con la corruzione. Come fare campagne per contrastare il potere delle multinazionali usando l’economia. Abbiamo già perso, e le multinazionali hanno già vinto, se adottiamo la loro visione del mondo. Diventare come Bill Gates non è un sogno grande, è un sogno da perdenti, da rinunciatari, da chi ha già deciso che nella vita contano solo i soldi.
Perché i giovani abbiano un futuro dobbiamo educare, testimoniare, che si può essere liberi sia che si viva in un villaggio Nuba lontano da tutte le comodità, o in una “zona bene” di Milano o di Roma, o mentre si fugge da una guerra. La libertà, la felicità, la realizzazione di sé è dentro. La schiavitù viene da fuori, ma non ci può vincere se noi siamo liberi dentro. Nelson Mandela era libero a Robben Island.
Harris e Nick hanno finito le tagliatelle e mi sorridono. La vita è dalla loro parte. Entrambi hanno un padre assente perennemente ubriaco, una mamma senza famiglia. Possiedono solo ciò che hanno addosso. Credono nel futuro e vogliono essere liberi.
YOUTH è disponibile presso la Bottega di Amani in via Tortona 86, a Milano, e ordinabile dal sito https://bottega.amaniforafrica.it, via mail all’indirizzo bottega@amaniforafrica.it o telefonicamente: 02.48951149.
Renato Kizito Sesana, giornalista e missionario.