Articolo
Una visita ricambiata
Il viaggio in Italia di 15 giovani dello Zambia
Anno XXXIV, n. 2 Novembre 2024 - di Raffaella Ciceri
“Tiyende Pamodzi” sono quindici cuscini, distribuiti in almeno sei, sette case diverse per ogni città dove ha fatto tappa, la scorsa primavera, il viaggio in Italia dei ragazzi provenienti dal Mthunzi Centre di Lusaka. Sono quindici tazze per la colazione e quindici paia di occhi che al mattino guardavano perplessi le confezioni di biscotti italiani.
Ma “Tiyende Pamodzi”, che non per niente significa “camminiamo insieme”, è anche la somma delle lavatrici che, in una casa dopo l’altra, hanno lavato jeans e costumi di scena. È l’inglese – a volte fluidissimo, a volte sgangherato o maccheronico – con cui abbiamo fatto domande e dato risposte. È il silenzio imbarazzato delle presentazioni in cui non si riusciva a rompere il ghiaccio e l’incredulità nel constatare che… sì, anche un ragazzo africano lascia la luce accesa in camera la notte, se lo aiuta a tenere lontane le paure; e sì, anche un ragazzo africano può finirti l’acqua calda della doccia, proprio come un suo coetaneo italiano. Perché dopotutto «ci sono tante differenze tra noi, loro sanno anche fare i salti mortali e sputare il fuoco, ma passando del tempo insieme si scoprono le cose che abbiamo in comune», come mi ha detto una tredicenne di Lodi al termine del viaggio dei ragazzi zambiani in Italia.
Il “tempo insieme” è il regalo più grande che la parrocchia di Ghiffa ha donato ai quindici ospiti del Mthunzi Centre, il progetto educativo sostenuto da Amani nella campagna della capitale zambiana, ma è anche l’impronta più sorprendente che i ragazzi del Mthunzi hanno lasciato al loro passaggio. Un “tempo insieme” che è stato reso possibile dalla cocciutaggine del gruppo giovani della parrocchia di Ghiffa e del loro parroco don Angelo Nigro: dopo aver trascorso dieci giorni al Mthunzi nell’estate 2023, hanno deciso di ricambiare l’ospitalità. Hanno raccolto fondi, prenotato voli e gestito passo dopo passo con Amani le pratiche infinite per visti e passaporti: «Una fatica pazzesca, ma lo rifaremmo subito – spiega Serena Melica, educatrice e pedagogista -. Ospitarli qui è stata un’esperienza intensa non solo per noi e per i ragazzi del Mthunzi, ma credo anche per chi ha avuto modo di passare del tempo con loro, in famiglia o negli incontri a scuola o in una partita di calcio. In un mondo che va sempre di fretta, dedicarsi del tempo per accogliere chi è diverso da noi, conoscere e farsi conoscere, fa sempre la differenza e ti segna».
Don Angelo Nigro confidava che sarebbe andata così. «Quando ero seminarista ho trascorso due mesi in Brasile. Questa esperienza ha cambiato la mia vita e da allora cerco di proporne di simili ai giovani della parrocchia». Suonerà scontato, ma occorre aprire la porta per far entrare questo “tempo insieme”. Anzi, le porte. Don Angelo ne elenca una sfilza: «Si sono aperte le porte della nostra comunità, perché senza l’aiuto e le donazioni di tutti non avremmo coperto i costi del viaggio in Italia. Si sono aperte le porte delle famiglie che hanno ospitato i ragazzi nelle proprie case. E poi sono aperte le porte del cuore, della mente, dei sensi e della fede».
I 14 ragazzi del Mthunzi Centre – tra gli 11 i 27 anni d’età – sono rimasti in Italia dal 25 aprile all’8 maggio insieme al loro responsabile Robert Mwanza. Per la prima settimana sono stati ospitati nel Verbano-Cusio-Ossola dalla comunità parrocchiale di Ghiffa, con appuntamenti tra Pollino, Intra, Baveno-Oltrefiume, Trobaso, Ghiffa, Bagnella–Cesara e Laveno Mombello, in una serie di incontri che spesso sono terminati con il loro emozionante spettacolo fatto di musica, danze e acrobazie. Dal 2 all’8 maggio il viaggio ha toccato Como, Lecco, Lodi, Milano e Torino.
In ogni tappa i ragazzi hanno incontrato studenti, oratori, associazioni, in un tour dai ritmi serrati, sui due van guidati dai volontari di Amani che in certe occasioni ricordavano molto i matatu africani, stipati di zaini, strumenti musicali, costumi di scena.
Anche a Lodi diversi incontri hanno lasciato il segno e stimolato riflessioni tuttora aperte. I giovani zambiani sono stati ricevuti dal sindaco, sono scesi in campo in un’amichevole di calcio con la Juniores del GS Montanaso, terminata in un’allegra confusione di maglie; hanno vissuto qualche ora tra gli scout del gruppo Lodi2 e con i coetanei della parrocchia di San Bernardo; si sono confrontati in un dibattito tutt’altro che scontato con i promotori del Festival della Fotografia Etica, sull’opportunità o meno che gli abitanti di una baraccopoli accettino di far entrare un fotografo nella propria quotidianità.
«Accogliere delle persone nelle nostre case, donare loro oltre che degli oggetti fisici il nostro affetto, è stata un’esperienza straordinaria – spiega Andrea Ferrari, tra gli organizzatori della tappa di Lodi -. Ogni barriera, che siano i confini, la lingua o la religione, cade davanti alla voglia di capire e conoscere la vita degli altri».
Sempre bello e facile? No. In una scuola media, i commenti di qualche bullo sono stati sedati dai docenti. Riprendendo le parole di don Angelo Nigro, «viviamo in una società razzista, negarlo è impossibile. Quindici ragazzi neri hanno creato qualche scompenso, ma hanno anche generato dei cambiamenti e aperto diverse sensibilità». Succede quando ci si regala il tempo.
QUEL BACIO DEL BUONGIORNO
Milena e Roberto vivono a Lodi con il figlio Pietro di 12 anni e con Nuvola, un meticcio che incarna alla perfezione il suo nome e che, inizialmente, i ragazzi del Mthunzi Centre tenevano a distanza con più timore che curiosità: in Zambia come in Kenya i cani domestici sono principalmente pericolosi cani da guardia. Lo scorso aprile, la nostra proposta: ospitereste due ragazzi durante la tappa di Lodi? Oggi Milena ricorda: Non è stato necessario riflettere prima di rispondere: «sì, facciamolo».
Apro le porte di casa mia perché so che posso arricchirmi con la persona che ospito. Non so perché, ma non mi sento di dire che lo faccio per il prossimo, per gli altri. Il pensiero di accogliere in casa mia due ragazzini del Mthunzi mi ha subito scaldato il cuore, mi ha fatto sentire viva. Posso definirlo sano egoismo?
Quando Iwell ed Angel sono entrati in casa, era come se ci fossero stati da sempre, era anche casa loro. È bastato farsi “annusare” da Nuvola, liberarsi dai giubbotti e via a immergerci nella camera di Pietro.
La nonna, che non parla una parola di inglese, al mattino al risveglio aveva chiesto un bacio sulla guancia anche a loro oltre che al nipote. Il secondo mattino non è stato necessario chiedere nulla: appena svegli le sono andati incontro e quel bacio del buongiorno, non richiesto, ha dato a tutti una marcia in più.
Raffaella Ciceri, giornalista e volontaria di Amani.