Editoriale
Una porta alla volta
Anno XXXIV, n. 2 Novembre 2024 - di Gian Marco Elia
Nel marzo di quest’anno ha aperto la sua porta una piccola casa nel cuore di Kibera. Una casa modesta, un alloggio popolare essenziale costruito alla fine degli anni Sessanta, che adesso accoglie e protegge giovani madri in gravidanza o con i loro neonati. Persone che hanno sempre e solo vissuto sulla strada e che da oggi iniziano una vita nuova.
In questa iniziativa, Amani e Koinonia potranno presto contare sul sostegno della Fondazione Santo Versace, che ha deciso di farne il suo primo progetto fuori dai confini italiani.
Come gli amici di Amani sanno da tempo, impegnarci nell’accoglienza è certamente una salvezza per destini umani che si sentivano perduti per sempre, ma salva anche noi stessi. Chi di noi, in questi mesi, ha avuto il privilegio di varcare la porta di quella casa, ha percepito in pieno il senso del nostro agire e del nostro percorso, sia personale che associativo.
Il gesto di aprire una porta è per noi tanto un atto concreto quanto una disciplina di vita. Affrontiamo tutti giornate nelle quali le ore non bastano mai. Non riusciamo, spesso per semplice stanchezza, o per gli effetti di una iperattività, a cercare e a difendere un tempo e uno spazio per l’incontro con l’altro. È solo quando infine riusciamo a spezzare la routine di cui siamo prigionieri, che ci rendiamo conto di quanto sia essenziale e infinitamente bello ritrovarci in una dimensione di impegno individuale e collettivo. Per questo diciamo che ci vuole disciplina: è uno sforzo, che però dà frutti meravigliosi.
Lo sanno bene le famiglie legate ad Amani che hanno accolto i bambini e ragazzi zambiani in viaggio nel Nord Italia nel maggio di quest’anno (ne scrive Raffaella Ciceri a pagina 5). In questo incontro abbiamo visto ancora una volta accadere quello che abbiamo imparato in questi anni. Uscire dalle proprie abitudini, dagli orari e dalla nostra organizzazione di vita, è un pensiero dapprima faticoso; ma poi, una volta aperta la porta per lasciar entrare chi ci chiede ospitalità, con la distanza ravvicinata riscopriamo la bellezza dell’incontro e della relazione con l’altro. Arrivato il momento dei saluti, tutti coloro che hanno accolto si sono lamentati del poco tempo vissuto insieme ai ragazzi zambiani.
È il segno di un vuoto da colmare. Lo abbiamo visto di nuovo quest’ultimo agosto, con i volontari che si sono preparati e sono poi partiti per Nairobi e per Lusaka. Una fatica, la preparazione; un profondo arricchimento il tempo speso impegnandosi lontano dalle certezze della vita di tutti i giorni. Una volta tornati a casa, le riflessioni sono profonde e aumenta la consapevolezza che soltanto un incontro ravvicinato, una relazione, riesce a liberare le nostre migliori energie.
Anche in questo l’Africa ci è maestra. Concentrati come siamo nel sentirci minacciati dall’idea di un’invasione di migranti che non è sostenuta dai dati reali, dimentichiamo che l’Africa è prima di tutto – e come nessun altro – il continente dell’accoglienza per milioni di rifugiati. Con numeri così imponenti, i problemi e le crisi di rigetto non mancano; al tempo stesso, però, come ci spiega Fabrizio Floris a pagina 3, non mancano le soluzioni di convivenza feconda che, se regolata e gestita con le migliori intenzioni, è capace di migliorare la vita di tutti.
Apriamo dunque le porte. Prendiamo esempio dalla quinta elementare dell’istituto comprensivo Ezio Giacich di Monfalcone, di cui ci racconta Chiara Michelon a pagina 4.
È stata per noi una vera emozione leggere la mail che ci ha scritto qualche tempo fa la maestra Giulietta. Ci ha reso partecipi dell’iniziativa dei bambini e delle bambine della sua classe. Hanno scelto con entusiasmo di celebrare la Giornata dell’accoglienza costruendo nella scuola una riproduzione della Porta di Lampedusa, il monumento ideato e realizzato da Amani per ricordare tutte le vittime dell’immigrazione. Ci conforta sapere che quella porta aperta non è solo un monumento, ma un pensiero vivo che a sedici anni dalla sua inaugurazione anima creatività e riflessione nelle scuole italiane, come anche altri insegnanti ci hanno testimoniato. La nostra speranza è che questi esempi crescano, così come la nostra voglia di fare comunità.
Gian Marco Elia, presidente di Amani.