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Un professore a scuola di Africa
Anno XXXIV, n. 1 Maggio 2024 - di Raffaella Ciceri
Padre Kizito dice di lui che «anagraficamente è perfino più vecchio di me, ma è una delle persone più giovani che io abbia mai conosciuto». Chi ha già avuto l’occasione di conoscere Alberto Gromi sa perfettamente che “vecchio” è un aggettivo che non gli si addice.
Il 4 agosto 2023 Gromi è rientrato a Piacenza da Nairobi con l’immancabile bagaglio di immagini e volti impressi in mente e una serie di riflessioni sparse. Diversi mesi dopo, mentre prepara il prossimo viaggio in Kenya (sarà l’undicesimo) conferma le impressioni a caldo della scorsa estate: «Ho notato più cambiamenti a Nairobi in questi ultimi cinque anni di quanti non ne avessi visti nell’intervallo precedente, che pure era stato più lungo».
Il suo è un punto di vista prezioso per provare a capire cosa sta cambiando tra Kivuli Centre, la Casa di Anita, Ndugu Mdogo e più in generale nell’approccio con cui le persone che ruotano intorno a Koinonia e Amani sono impegnate a offrire un aiuto ai bambini e ragazzi che finiscono a vivere in strada.
Alberto Gromi ha 85 anni. Lo scriviamo non perché la sua età anagrafica sia significativa in sé, ma perché lo sono le competenze e l’esperienza che ha accumulato in decenni di attività per la formazione dei giovani. Piacentino, indimenticato e indimenticabile preside del liceo classico Gioia, ha contribuito a far crescere generazioni di studenti e dal 2005 in poi ne ha portati diversi in Africa. Il suo primo viaggio in Kenya per conoscere i centri gestiti da Koinonia e supportati da Amani risale al 2005, quando tecnicamente era già pensionato e aveva archiviato il ruolo di preside per assumere l’incarico di docente all’Università Cattolica di Piacenza, dove ha insegnato Pedagogia della comunicazione e Pedagogia del lavoro. Dopo quel primo viaggio è tornato a Nairobi quasi ogni anno fino al 2012, sempre accompagnando un gruppo di universitari, per metterli alla prova sul campo con un tirocinio che non fosse in una scuola dell’Emilia Romagna ma tra le bambine di Anita o i bambini di Kivuli o seguendo Jack Matika («il mio educatore di riferimento», dice Gromi) per le strade di Kibera.
Poi una assenza forzata da Nairobi fino al 2018. E di nuovo cinque anni di distacco prima del 2023. Ritornare negli stessi luoghi, a distanza di tempo, fa balzare all’occhio cosa è cambiato: «Ovviamente è il mio punto di vista personale, e deriva da poche settimane di permanenza – premette Gromi – . Mi hanno colpito i cambiamenti soprattutto nel modo di operare di Koinonia e di Amani. Penso per esempio allo sviluppo delle attività legate al riciclo dei materiali: ricordavo l’attenzione alla gestione dei rifiuti e alla riduzione dell’immondizia, ma ora questa sensibilità ambientale ha generato piccoli laboratori e attività economiche, con prodotti artigianali che vengono venduti per ottenere un ricavo». Ancora più straordinario, nelle parole del professore, è l’allargamento del raggio d’azione degli interventi di Koinonia e Amani: «Mi è sembrato evidente che i progetti messi in campo sono sempre meno focalizzati sul singolo individuo e sempre più sul suo nucleo familiare».
In una pagina del suo diario dell’estate scorsa, il professore lo spiega con commozione: «Amani e Koinonia da sempre hanno capito che non basta togliere i bambini e le bambine della strada. Il posto per un bimbo è una famiglia, anche se le difficoltà per realizzare questa dichiarazione che sembra lapalissiana sono inimmaginabili. In questi anni le hanno studiate tutte, e questa mattina (era il 2 agosto 2023, ndr) abbiamo incontrato le persone che in carne e ossa rappresentano l’esito di questo lungo percorso di riflessione». A Nairobi, Gromi ha conosciuto i progetti “Families to families”, ma anche visitato la nuova Salama Craft Community per le giovani mamme sole, e ha visto in azione non soltanto gli educatori di strada o i gestori dei centri ma anche counselor, psicologi, assistenti sociali impegnati a supportare il reinserimento in famiglia dei bambini, con azioni che puntano a costruire una rete di supporto fatta anche di «impegni di vicinato e consiglieri economici che aiutano le famiglie ad aggiustare il bilancio».
Purtroppo ha descritto puntualmente anche altri cambiamenti, in promo luogo il tasso di cambio. «Se nel 2005 un euro valeva 98 scellini, l’anno scorso ne valeva 156: le persone continuano a impoverirsi. Le scuole restano miserrime, le classi arrivano ancora a contare fino a cento alunni. Tantissimi bambini continuano a finire a vivere in strada». Ma anche i progetti sostenuti da Amani evolvono e cambiano.
Ogni volta che torna a casa, a Gromi arriva puntuale la domanda: cosa ci va a fare in Africa? L’ultima volta ha risposto così: «vado per muovere il pensiero. Perché – pensavo fra me e me – se si muove il pensiero qualcosa accade».
Poi ha aggiunto un aneddoto che si racconta in Kenya. «Un giovane e forte guerriero maasai, armato di lancia e scudo, torna a grandi passi verso la sua capanna, nella savana. Ad un certo punto nota in mezzo al sentiero un uccellino con le due zampette dritte e stecchite puntate verso il cielo. Lo crede morto e si appresta a dargli un calcio, quando si accorge che il passero ha gli occhi aperti e ben vivi. “Che cosa stai facendo?”, gli domanda incuriosito. “Ho sentito dire – risponde il passero – che il cielo sta per cadere, e mi sono messo pronto in posizione per sostenerlo”. Il giovane guerriero non si è mai divertito tanto, si dà pacche sulle cosce e quasi cade a terra dal gran ridere. Quando gli riesce di articolar parola, ancora scosso da sussulti di riso, dice: “E tu, così piccolo e debole che io potrei schiacciarti con un piede, pensi di riuscire a sostenere il cielo?”. “Cosa vuoi – spiega il passero – io faccio del mio meglio. E tu, che cosa fai?”».
Raffaella Ciceri, giornalista, volontaria di Amani dal 2007.