Articolo
Tutte le guerre del mondo
È l’Africa il teatro del maggior numero di conflitti armati.
Anno XXII, n. 1 Giugno 2022 - di Raffaele Crocco
Trentaquattro guerre, cioè trentaquattro luoghi del mondo in cui si combatte fra eserciti di Paesi nemici, oppure fra milizie irregolari ed eserciti nazionali per contendersi il potere. O situazioni in cui la guerra è ferma solo perché una forza militare terza – ad esempio i Caschi Blu dell’Onu – garantiscono la non belligeranza. A tutto questo dobbiamo aggiungere una quindicina di aree di crisi accesa, non ancora diventata guerra.
Sono questi i numeri, in questa tarda primavera del 2022. E se la nostra attenzione è concentrata sull’Ucraina, i dati ci raccontano che circa metà della popolazione mondiale è comunque interessata da una qualche guerra. Sì, perché la guerra non si limita a devastare le aree di scontro fra forze armate. No, arriva ovunque, lontano. Lo scontro avviene quasi sempre nelle città e inevitabilmente questo trasforma i civili, i non combattenti, nei veri protagonisti della guerra. Il 90 per cento dei morti delle guerre moderne sono civili disarmati.
Un dato spaventoso, che gli assedi di terra e i bombardamenti aerei russi contro le città ucraine confermano. La guerra moderna è cambiata, ma in ogni luogo mantiene le medesime, terribili caratteristiche: è sempre madre dell’orrore. Non esiste una guerra che non sia orrore. L’orrore è stato nell’assedio di Sarajevo, nell’eccidio di Srebrenica, nelle stragi del Ruanda e della Repubblica Democratica del Congo, nella Shoah, negli armeni massacrati dai Turchi, nella Dresda bombardata dagli alleati, nella crudeltà nazifascista di Sant’Anna di Stazzema. La guerra è sangue, violenza, distruzione.
È l’Africa ad avere il primato del “dove si combatte”. Sono 12 i Paesi in guerra e 7 le aree di crisi. Le armi condizionano la vita quotidiana della gente del Camerun, del Ciad, della Libia, del Mali. Poi, ancora in Niger, Nigeria, nel Sahara occidentale, nella Repubblica Centrafricana e in quella Democratica del Congo, in Somalia, Sudan, Sudan del Sud. Un elenco infinito, a cui si aggiungono le crisi dell’Etiopia, dell’Eritrea, dell’Algeria, del Burkina Faso, dell’Uganda, del Burundi, dello Zimbabwe. Si calcola che nel 2021 e nei primi mesi del 2022 le vittime civili delle guerre africane siano state circa 43mila. Ai morti vanno aggiunti i troppi profughi in fuga dalla violenza: si parla di alcuni milioni di esseri umani.
Altrove le cose non vanno certo meglio. Dei 160.681 civili uccisi in 11 anni di guerra in Siria, 49.359 sono morti sotto tortura nelle carceri del governo siriano, altre 52.508 persone sono morte sotto i bombardamenti di artiglieria governativi contro zone controllate da gruppi armati anti-regime. Sempre in Siria, i curdi vengono quotidianamente massacrati dalle bombe della Turchia di Erdogan. Sono – non dimentichiamolo – gli stessi curdi che abbiamo usato come carne da macello contro l’Isis solo qualche anno fa. Li avevamo armati e ammirati. Li avevamo mandati in battaglia per “fermare il nemico”. Ora stanno resistendo da soli, quasi dimenticati.
Ancora: dal 2014 nello Yemen la guerra ha complessivamente ucciso, secondo i dati delle Nazioni Unite, almeno 233mila persone. Oltre 12mila tra questi sono stati uccisi in attacchi mirati, inclusi 7.500 bambini. Molte città yemenite sono state distrutte dalle bombe. Bombe sganciate dall’Arabia Saudita e spesso vendute da noi.
In Afghanistan l’occupazione militare firmata da Usa e Nato è durata vent’anni, sino all’agosto del 2021. I morti civili per quella lunga guerra sono stati 72mila. Un numero che ora cresce per le difficili condizioni di vita imposte dal governo talebano e per la crisi umanitaria che ha colpito il Paese.
Gli scenari sono infiniti. Non può mancare quello dello scontro fra israeliani e palestinesi, con questi ultimi di fatto prigionieri nei lembi di terra che i coloni israeliani non hanno occupato e vittime spesso degli scontri con l’esercito israeliano, durissimo nel reprimere ogni forma di protesta o rivolta.
Spostandoci ad est, verso l’Oriente estremo, dimentichiamo troppo spesso che India e Pakistan combattono ogni giorno – davvero ogni giorno – lungo la linea di confine che le divide tra le montagne. Una lotta che si esprime con cannonate quotidiane e, ogni tanto, torna ad essere attacco fra eserciti, per conquistare territorio. Una guerra che dura da 75 anni e che il mondo dovrebbe vivere con angoscia e preoccupazione: i due Paesi sono potenze nucleari.
Più in là, si muore nelle Filippine. Si muore per il confronto che il governo centrale ha da un lato con guerriglieri marxisti da cinque decenni decisi a cambiare sistema, dall’altro per lo scontro con la minoranza musulmana, che chiede l’indipendenza. Anche qui, ogni anno sono migliaia i morti. A questi, si aggiungono quelli di una terza guerra, quella dichiarata dal presidente Duterte ai narcotrafficanti: fra il 2016 e il 2021 sarebbero stati almeno 6.200 i morti.
Questi i numeri della nostra quotidianità.
Mentre si muore nell’Ucraina invasa dalla Russia di Putin, si muore altrove, per le stesse ragioni, con le medesime motivazioni. Ogni anno, sono centinaia di migliaia i morti nelle guerre che non raccontiamo, che dimentichiamo. Questo silenzio genera mostri e ingiustizie. Alcune le viviamo e creiamo qui, a casa nostra. Ad esempio, nel modo che abbiamo di trattare i profughi, chi scappa dalla guerra. Sono cinque milioni, dice l’Onu, gli ucraini fuggiti dal loro Paese per salvarsi la vita. In Europa li abbiamo accolti e abbiamo dato loro ospitalità piena, riconoscendo il loro status di persone in fuga dalla guerra. Sono bastati pochi giorni ed è stata una grande cosa. Ma in Italia ci sono decine di migliaia di persone fuggite da altre terribili guerre – dalla Siria, dall’Afghanistan, dal Mali solo per citarne alcune – che attendono da mesi il riconoscimento dello status di rifugiato. Vivono in un limbo fatto di incertezze e di assistenza calata dall’alto. Una “non vita” che li fa restare eternamente agganciati al fantasma della guerra e impedisce ogni forma di integrazione. Anche in questo, come per le guerre dimenticate, il nostro silenzio è il vero nemico della giustizia.
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L’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo è un progetto ideato da Raffaele Crocco nel 2008 e realizzato grazie alla nascita dell’Associazione 46° Parallelo, che gestisce l’intero progetto. L’architrave su cui poggia tutta l’idea è il volume Atlante delle guerre e dei conflitti del Mondo, arrivato alla decima edizione e ora stampato anche in inglese. Parallelamente sono nati due siti quotidiani d’informazione www.atlanteguerre.it e www.atlasofwars.com, e un luogo per “mostre fotografiche virtuali”, AtlantePhotoExpo. In questi anni sono stati anche prodotti e girati quattro film-documentari, pubblicati libri, ideate e realizzate nove mostre fotografiche e multimediali sui temi della guerra e dell’informazione e realizzati circa 100 incontri pubblici all’anno, in scuole e teatri.
Nella foto: Conflitti mondiali 2022 – Infografica realizzata da Armed Conflict Location & Event Data Project (ACLED).
Credits: 2022 ACLED
Raffaele Crocco, giornalista, scrittore e documentarista, direttore responsabile dell’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo.