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Nessuno viaggia da solo
Anno XXIII, n. 2 Novembre 2023 - di Anna Ghezzi
Un Campo di incontro non comincia con il check-in all’aeroporto ad agosto o con il decollo verso Nairobi. E non finisce né con l’atterraggio né con il ritorno a casa, alle abitudini, agli amici, alla famiglia, al lavoro.
Lo ha spiegato bene un venerdì sera di fine ottobre Marta Marcucci, 25 anni, campista 2023 che, a due mesi dal rientro in Italia, ha radunato sotto le volte in mattoni di una sala presa in prestito dalla Confederazione nazionale dell’artigianato di Scandicci (Firenze) tutte le persone che l’hanno sostenuta e accompagnata in questa esperienza. E che hanno anche contribuito, con le loro donazioni, alla buona riuscita del campo, alla realizzazione di gite, feste, esperienze che hanno coinvolto i volontari, i ragazzi e le ragazze dei centri ex bambini di strada sostenuti da Amani e Koinonia Community. Donazioni che hanno permesso la realizzazione di iniziative che hanno visto protagonisti anche alcuni di quelli che vivono e sopravvivono ancora in strada. In modi che, da qui, è difficile anche solo immaginare perché ci mancano le immagini, le parole.
Ecco, Marta ha restituito immagini, parole, emozioni. Il significato di un viaggio nato per essere incontro tra mondi lontani che si intrecciano attraverso relazioni che nascono e crescono, in un mese. Attraverso persone che macinano chilometri per andare a vedere, e altre che macinano chilometri e difficoltà per farsi conoscere. Aperti all’altro.
Non è stata solo una bella prova di trasparenza, un tentativo di trasmettere a chi, in qualche modo ha contribuito, informazioni rispetto a quanto fatto con quelle donazioni e quell’impegno dato sulla fiducia. Una trasparenza che, comunque, per Amani e ogni associazione che si basa sulle reti di persone che lavorano insieme per un’idea, un progetto, è desiderabile. Marta in un paio d’ore è riuscita a coinvolgere, commuovere, suscitare curiosità nelle persone – una cinquantina, di tutte le età – che si sono concesse una serata per ascoltarla parlare di Kibera, di ragazzi di strada, di progetti, di Amani e altre realtà lontanissime da Firenze.
Marta ha raccontato con foto, video e sincerità cosa l’ha colpita, cosa ha capito da un ballo ripetuto all’infinito a Ndugu Mdogo o da una colazione in strada con i ragazzi che dormono all’aperto in cui a un certo punto uno di loro guarda negli occhi i volontari e afferma: «Siete venuti a controllare come sto». Ed è felice.
Ad ascoltarla con un’attenzione spessa, di quelle che si percepiscono, c’erano la sua famiglia, gli amici dei genitori che l’hanno vista crescere e che qualche settimana prima di quel volo che l’ha portata a Nairobi, a Kivuli, ad Anita, a Ndugu Mdogo, hanno partecipato a una cena condivisa per dare il loro contributo concreto. C’erano gli amici delle sorelle e quelli dello stadio, del lavoro. Persone che si sono fatte sorprendere, prima, dalla decisione di partire, che le hanno scritto durante il campo, che si sono fatte coinvolgere, che non l’hanno mai fatta sentire sola.
In un campo di Amani, comunque, nessuno viaggia da solo.
Ci sono gli altri campisti e campiste, con cui si condivide un percorso di formazione nei mesi che precedono la partenza proprio per imparare a stare insieme e affrontare l’esperienza supportandosi e sopportandosi. Quest’anno undici giovani di Firenze, Bologna, Lecco, Mondavio (Marche), Padova, Vicenza.
Ci sono gli ex, che spesso tornano ad accompagnare e rivivere un campo che sarà necessariamente diverso dal primo, come una seconda visione che permette di cogliere particolari impercettibili al primo sguardo. Ci sono i professionisti di Amani e Koinonia, che lavorano per mesi, prima del viaggio, per offrire ai volontari e ai bimbi e alle bimbe dei centri un’esperienza che sia positiva, profonda, e ampia.
«Volevo condividere quello che mi ha colpito – ha spiegato Marta – e ringraziare tutte quelle persone che mi sono state vicine. È difficile far arrivare quello che abbiamo vissuto via messaggio, e anche mandare foto, a volte, mi sembrava surreale. Volevo provare a spiegare che non siamo andati a Nairobi perché loro avevano bisogno di noi ma per conoscere una cultura nuova, incontrare persone che ringrazio per avermi cambiata: le conoscenze fatte mi hanno portata a fare pensieri e ragionamenti diversi da quelli abituali. E sì, con i fondi raccolti abbiamo reso possibili cose belle, come si fa anche in Italia, nei centri estivi ma io credo di essere stata aiutata più di quanto ho davvero “aiutato” io».
Il rientro alla quotidianità non è sempre facile. «Provi rabbia, per quello che hai visto?», ha chiesto una signora in prima fila. «No – risponde con semplicità Marta – a volte impotenza. Ma soprattutto sono ancora sbalordita in senso positivo dalle persone che ho conosciuto. So che vivono delle difficoltà, che ci sono ragazzi che usciranno dal centro e torneranno a casa. Come Peter che si trasferirà dalla nonna in un villaggio Masai a due ore dalla scuola: avendolo conosciuto, vorrei sapere come la affronterà, ma so che ce la farà».
Anna Ghezzi, volontaria di Amani e giornalista.