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Leggere per dovere di memoria
Anno XXXIV, n. 1 Maggio 2024 - di Pier Maria Mazzola
Trent’anni sono passati – data ufficiale della memoria: 7 aprile – dal genocidio ruandese. Tanto è già stato detto. Non tutto. E come potrebbe essere diversamente? Un milione di morti, o anche “solo” ottocentomila (tutsi in massima parte, ma anche hutu), è un giacimento inesauribile di analisi e dibattiti, di testimonianze e storie. Del resto non sono ancora finiti neppure i ritrovamento di ossa e crani, come quello dello scorso gennaio a Ngoma, dove 210 corpi sono stati riesumati da una fossa comune. Anche in Italia, paese estraneo – a differenza di Germania, Belgio e Francia – alla memoria coloniale del Ruanda, sull’immane tragedia si è registrato in questi decenni un buon numero di articoli di stampa, specie nei primi anni; ma nemmeno l’editoria libraria è stata assente: possiamo elencare una sessantina di titoli in circolazione, di taglio e di importanza diversi, perlopiù tradotti ma anche di autori italiani.
Tra questi ultimi va ora annoverato Pietro Veronese. Giornalista (che ad Amani è di casa), attivo nell’associazione “Ibuka Italia – Memoria e Giustizia”, ha appena pubblicato con le Edizioni e/o La Famiglia, libro che porta alla luce una «una storia ruandese» di tipo inedito.
Le nove persone da lui incontrate – durante quelle che egli nemmeno osa chiamare “interviste”, tanto i suoi interlocutori seguivano «un filo che avevano chiaro dentro di sé» – si autodefiniscono «famiglia» senza essere dei congiunti, tranne due sorelle e una coppia di sposi. C’è anche un prete. Sono la Famiglia Igihozo («che vuol dire consolazione, perché ci consoliamo a vicenda»). La più giovane, Mimì, aveva quattro anni nei giorni dei massacri, «giorni senza tramonto e notti che non avrebbero visto l’alba». Scampati, con le famiglie d’origine a pezzi, hanno raggiunto con tempi e vie diverse l’Italia. Qui, a immagine di quanto già accadeva nel loro paese, dove «nelle scuole secondarie i ragazzi e le ragazze sopravvissuti avevano cominciato a organizzarsi in famiglie», si costituiscono in famiglia. Certo «non era come in Ruanda», osserva Grâce, «eravamo sparsi, distanti, ma il calore della Famiglia c’era. In Ruanda si sta sempre vicini, qui stiamo online o al telefono». «Si dice che tutte le famiglie hanno un segreto», confida Albert. «L’obiettivo delle “famiglie d’elezione” è mettere insieme persone che condividono un segreto causato dalla cattiveria degli uomini. Lo scopo non è coltivare l’odio o cercare la vendetta, ma farsi carico gli uni degli altri». Il pensiero va, mutatis mutandis, al testamento di Francesco d’Assisi: «Due dei frati facciano da madri ed abbiano due figli o almeno uno. […] I figli però talora assumano l’ufficio di madri, come sembrerà loro opportuno disporre per un necessario avvicendamento».
I racconti dei nove avanzano in parallelo, in ordine cronologico fin da prima del genocidio. Desta un particolare interesse «la vita dopo», con le vicissitudini che porteranno ciascuno in Italia fino al formarsi della loro nuova Famiglia (nella quale adesso figura anche Veronese come membro onorario). Il libro aggiunge una tessera preziosa e originale a tutto un mosaico di testimonianze già pubblicate negli anni. Per esempio quella di Esther Mujawayo, che ha raccontato con Souâd Belhaddad – giornalista algerina che già nel proprio paese aveva raccolto le voci di familiari delle vittime dei neri anni ’90 – la ricerca dei resti della sorella, gettando al contempo uno sguardo sui gacaca, le corti popolari create per accelerare la giustizia e favorire la riconciliazione. Titolo: Il fiore di Stéphanie (2007).
Impossibile, in questa sede, anche solo accennare ai molti altri libri. Oltre alle testimonianze troviamo analisi storiche, politiche, antropologiche. Anche una graphic novel. E narrativa, come quella di una decina di noti autori africani invitati a un soggiorno in Ruanda e a «scrivere per dovere di memoria». Quattro di quei titoli sono disponibili in italiano: quelli di Boubacar Boris Diop, Véronique Tadjo, Abdourahman Waberi e Tierno Monénembo.
Pier Maria Mazzola, giornalista e traduttore.