Articolo
La Regina e la sua Africa
Anno XXII, n. 2 Novembre 2022 - di Pier Maria Mazzola
«Per la prima volta nella storia del mondo, una ragazza è salita un giorno su un albero come principessa, e dopo aver provato quella che ha definito la sua esperienza più emozionante, ne è scesa l’indomani come regina». Così commentò chi scortava una venticinquenne Elisabetta in visita in Kenya, che con il marito aveva passato la notte del 5-6 febbraio 1952 in una camera del Treetops Hotel piazzata tra rami d’alberi. La principessa fu risvegliata il mattino dalla notizia della morte del padre. Otto mesi dopo, il governatore britannico a Nairobi avrebbe dichiarato lo stato di emergenza a motivo della rivolta Mau Mau.
La ribellione Mau Mau sarebbe durata otto anni, in reazione alla politica coloniale di occupazione delle terre (le più fertili). «Nel 1948», scrive Enzo Lombardo nel suo recente Africa. (Neo)colonialismo, ambiente e migrazioni, «un milione e 250mila Kikuyu erano confinati in soli 5mila metri quadrati di riserva, mentre 30mila coloni bianchi potevano godere di un territorio sei volte maggiore». Una ribellione duramente repressa, ben più di quanto non se ne sapesse fino al 2005, quando uscirono Histories of the Hanged di David Anderson e, soprattutto, Britain’s Gulag di Caroline Elkins. «Credo ora», scrive la storica di Harvard, «che alla fine del dominio coloniale in Kenya ci sia stata una campagna omicida per eliminare il popolo kikuyu, una campagna che lasciò decine di migliaia, forse centinaia di migliaia di morti».
Elisabetta è ritornata in Kenya nel 1983. Anzi, ha visitato una buona ventina di Paesi africani, alcuni più volte. Il continente non era che una fetta d’Impero, ma si direbbe che in lei suscitasse una speciale simpatia. Negli anni ’50-60 la decolonizzazione era ormai avviata nel mondo, e l’Africa ne era l’epicentro. La regina faceva buon viso a cattiva sorte, pur di non mandare in frantumi almeno la “famiglia” del Commonwealth? O era feeling sincero? Certamente lo fu, personalmente, con Mandela negli ultimi anni del secolo. Inversamente, sappiamo degli scontri tra lei e una Thatcher che non voleva applicare sanzioni al regime dell’apartheid. E sincero apparve l’augurio al nuovo Zimbabwe di Mugabe, che subentrava alla Rhodesia di Ian Smith.
Se però Elisabetta II avesse osato un pubblico, inequivocabile mea culpa sul passato – schiavista, colonialista – del suo impero (piuttosto tardivo quello del principe Carlo a Barbados, un anno fa), l’Africa oggi avrebbe forse reagito altrimenti alla sua morte: il cordoglio ufficiale dei capi di Stato non rispecchiava la diffusa freddezza delle loro società. Troppo vivo nella memoria collettiva rimane il disegno dei britannici di estendere la loro signoria “dal Nilo al Capo”. Un sentimento che riemerge talvolta anche nelle pagine di scrittori africani giovani come la ghano-americana Yaa Gyasi, con il suo acclamato Non dimenticare chi sei, una sorta di Radici del XXI secolo. E c’è sempre, comunque, la lezione dei classici. Il nigeriano Chinua Achebe, per esempio: «Abbiamo un tribunale dove giudichiamo i casi e amministriamo la giustizia, così come si fa nel mio Paese in nome di una grande regina [Vittoria]. Vi ho rinchiusi qui perché vi siete uniti per fare violenza ad altre persone, distruggere le loro case e i loro luoghi di culto. Cose del genere non devono succedere nell’impero della nostra regina, la più potente del mondo» (Le cose crollano).
O Ngũgĩ wa Thiong’o, che rifiutò l’inglese per il kikuyu. Di lui possiamo leggere con profitto, tra gli altri, Un chicco di grano o l’autobiografico Sogni in tempi di guerra: «Tutto il mercato e l’area circostanti erano occupati da una massa di profughi. Erano stati scaricati da treni e camion. […] Questa volta a essere espulsi dalla Rift Valley erano tutti i Gikũyũ, gli Embu e i Meru. La stessa scena si ripeteva identica in molte città del Kenya»…
(Chi volesse approfondire la storia può farlo con Il libro nero dell’impero britannico di John Newsinger, o L’impero britannico di Philippa Levine. E c’è sempre Il leone e il cacciatore di Anna Maria Gentili, non nuovo ma che rimane un manuale di storia africana prezioso e accessibile).
Nella foto: Ribelli Mau Mau detenuti
Pier Maria Mazzola, giornalista e traduttore.