Editoriale
insieme
Anno XXIII, n. 1 Giugno 2023 - di Raffaella Ciceri
Immagina di svegliarti domani bambino in uno slum di Nairobi e di ritrovarti a vivere in strada (i motivi che ti ci hanno portato possono essere mille).
Hai trovato chi ti ha teso una mano: ora vivi in un centro di accoglienza, hai chi si prende cura di te, non patisci più la fame o il freddo, non devi temere violenze e puoi anche frequentare la scuola. Tutto risolto allora? Tutto bene in classe? Probabilmente no. Vale per te che vieni dalla strada e vale anche per i bambini con qualunque forma di disabilità. Parole come integrazione o inclusività faticano ancora a concretizzarsi in vera accoglienza nella scuola italiana, dove esistono insegnanti di sostegno e non abbiamo più di 25 bambini per classe, figuriamoci negli slum di Riruta o Kibera dove si contano anche 60 o 70 bambini in un’aula, con un solo insegnante. Se vieni dalla strada, lo stigma sociale ti segue anche a scuola. Se sei disabile e devi muoverti in carrozzella, è probabile che tu non riesca nemmeno ad accedere i servizi igienici.
Ecco allora NICE. Quattro lettere che promettono futuro per almeno 750 bambini di Nairobi e riassumono un programma il cui titolo per esteso è lungo e densissimo: “Need for Inclusive Children Education: programma di supporto familiare e scolastico per un accesso equo ed inclusivo alla scuola dei bambini che vivono in strada e/o con disabilità”. In sigla NICE, appunto. Nice, che in inglese significa bello ma anche un sacco di altre cose come buono, ben fatto. È proprio a questo “ben fatto” che puntano Amani, Koinonia Community, Cittadinanza ed EducAid, i quattro partner che hanno candidato NICE all’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo ottenendo il finanziamento per un programma di interventi per il triennio 2023/25.
Amani è capofila e coordina gli interventi delle altre tre organizzazioni: il partner locale Koinonia e le due associazioni italiane Cittadinanza ed EducAid, garantendo l’armonizzazione dei singoli interventi. Si coordinano quindi in un unico programma d’azione quattro soggetti che avevano già sperimentato qualche forma di collaborazione tra loro a Nairobi, ciascuno su aree di intervento diverse: la disabilità per Cittadinanza, l’inclusione scolastica per EducAid, il recupero e il reintegro familiare dei bambini più vulnerabili per Amani, in tutti e tre i casi a supporto delle strutture di Koinonia. Quattro soggetti diversi, che in questi ultimi tempi hanno condiviso una riflessione: è arrivato il momento di mettersi in discussione, unire le energie e provare a spostare il focus degli interventi allargando il raggio d’azione.
Chiara Avezzano, responsabile della progettazione e del coordinamento delle attività in Kenya e Zambia, non ha dubbi: «NICE non è qualcosa di nuovo o di diverso da quello che abbiamo fatto finora: è uno strumento che Amani si è data, insieme agli altri tre partner, per migliorare quello che già stavamo facendo, concretizzando una riflessione che deve portarci sempre di più a spostare il focus dal singolo bambino alla sua famiglia». Fino ad oggi, inevitabilmente, gli sforzi si erano sempre concentrati sulla gestione dell’emergenza: sull’aiuto ai bambini che vivevano in strada per metterli prima di tutto al sicuro e poi provare a reinserirli nella famiglia d’origine, quando c’è. Ma la mancanza di risorse, aggravata dal Covid e dalla crisi economica, rende sempre più complicato il ritorno a casa, con il rischio che non sia duraturo e che i bambini o le bambine ritornino sulla strada. Perché non bastano i soldi, perché un familiare è ammalato, perché qualcuno ha perso il lavoro e non si sa come venirne fuori. In questi casi, troppi finiscono per abbandonare la scuola. Attraverso l’azione congiunta di Amani, Koinonia, Cittadinanza ed EducAid, gli sforzi si concentreranno così su due aspetti chiave per garantire il ritorno a scuola: l’ambiente familiare e l’ambiente scolastico.
Con NICE l’obiettivo è quindi sostenere le famiglie, con percorsi mirati di affiancamento economico e sociale, e potenziare le scuole stesse perché diventino più inclusive e in grado di accogliere anche i bambini disabili.
«Questo progetto ci dà l’opportunità di migliorare le nostre attività», conferma George Njuguna, responsabile dei progetti di Koinonia, che distingue tra obiettivi a breve e a lungo termine: «Prima eravamo inevitabilmente limitati negli interventi; ora, con NICE, abbiamo modo di sostenere meglio i bambini nelle loro famiglie e di entrare dentro le scuole per renderle più inclusive. Nell’immediato puntiamo a recuperare 250 bambini che vivono in strada, reinserendoli nei loro nuclei familiari e fornendo un piccolo sussidio (l’equivalente di circa 30 euro al mese) che aiuti la famiglia a trovare stabilità, prevenire nuove separazioni, magari avviare una piccola attività. A lungo termine l’obiettivo è capire come essere più efficaci: accogliendo i bambini in un Centro o sostenendo il loro reinserimento a casa e affiancando l’intera famiglia».
In parallelo ci sono gli interventi per recuperare e inserire a scuola i bambini con disabilità, affidati in particolare a Cittadinanza, la Onlus di Rimini che era arrivata a Nairobi nel 2012 grazie ai primi contatti con Amani. «Dal 2013 supportiamo Paolo’s Home di Koinonia, nell’area di Kibera, con un ambulatorio di fisioterapia per disabili che negli anni si è potenziato fino a diventare un centro diurno. Da qualche tempo abbiamo avviato anche una piccola sala per la fisioterapia a Kivuli, a Riruta, aperta cinque giorni a settimana, e abbiamo in programma di attivare un ambulatorio anche sulle colline Ngong, non appena saremo in grado di garantirne il funzionamento negli anni – spiega il direttore Alessandro Latini –. La forza di NICE? Sta proprio nella possibilità di lavorare insieme in modo più strutturato, ognuno con le competenze specifiche ma con un unico fine, quello di garantire davvero ai bambini il diritto alla scuola». Come? «Da un lato, continueremo a lavorare con i bambini disabili potenziando i servizi riabilitativi per aiutarli a raggiungere le autonomie necessarie anche per stare a scuola. Dall’altro, lavoreremo direttamente con le scuole. Per ora il nostro lavoro nelle scuole era legato al contatto diretto con qualche insegnante più sensibile. Mancava un percorso riconosciuto anche dalle istituzioni locali e che adesso può permetterci di lavorare per introdurre cambiamenti duraturi».
Il progetto punta ad assicurare il diritto all’istruzione a 500 bambini con disabilità. Il compito specifico di rendere più inclusive le scuole è affidato a EducAid, che si concentrerà appunto sull’ambiente scolastico, sostenendo dirigenti, insegnanti e funzionari pubblici nell’adottare metodi di lavoro inclusivi. «Nelle 10 scuole pilota interverremo per rimuovere le barriere architettoniche, rendere accessibili i servizi igienici, ma soprattutto potenziare le competenze del personale con percorsi di formazione e laboratori in classe – spiega Riccardo Sirri, direttore di EducAid –. In questa fase abbiamo individuato le 10 scuole, stiamo verificando che siano realmente motivate e sensibilizzando i dirigenti, perché possano essere nostri alleati e sostenere in futuro gli insegnanti». Anche EducAid è nata a Rimini, e Riccardo Sirri cita proprio un modello d’eccellenza riminese – quello del Centro Educativo Italo Svizzero fondato nel 1946, in una città in ginocchio, semidistrutta dai bombardamenti – per dimostrare che l’educazione inclusiva è possibile non solo dove c’è ricchezza economica ma anche nei contesti più critici. Oggi, tra l’altro, l’intero programma NICE si inserisce in un quadro sociale e politico che almeno sulla carta apre spiragli nuovi. Il Children Act adottato nel 2023 dal governo keniano mette infatti nero su bianco i diritti dei bambini, aggiornando un vecchio documento del 2001: «Per ora è solo un documento ma almeno ci dà l’opportunità di operare in un quadro normativo evoluto e più realistico – dice George Njuguna -. Il fatto stesso che NICE preveda la collaborazione con i Ministeri competenti ci permette di essere più incisivi». Ma è stato facile iniziare a lavorare tutti insieme in modo così strutturato? «Non sempre – scherza George –. Ma anche per noi è una bella occasione per non smettere mai di imparare».
Raffaella Ciceri, giornalista di Lodi, volontaria di Amani dal 2007.