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Il campo di incontro 2022. Note sul ripartire
Anno XXII, n. 2 Novembre 2022 - di Daniele Oreficini
“Si ri-parte!” è infatti innanzitutto l’espressione che ho pronunciato dentro me stesso quando ho realizzato che davvero stavo per tornare in Africa.
Ero stato in Kenya nel 2017, tra la polvere di Riruta e le verdeggianti colline di Ngong; e quest’anno ho potuto finalmente calcare anche la famosa terra rossa di Mthunzi. A condividere questa meravigliosa esperienza con me, un assortito gruppo formato dal coach Antonio (allenatore di basket professionistico che da anni collabora con Amani, mettendo il suo cuore e la sua professionalità a servizio dei ragazzi dei centri), Massimo e Lucrezia (rispettivamente direttore corale/d’orchestra e cantante lirica, che si sono messi a disposizione per realizzare dei laboratori musicali a Mthunzi), Attilia (che tutti i volontari conoscono e il cui insostituibile contributo non sarebbe riassumibile nello spazio di un inciso) e altri sette giovani campisti pronti a colorare le giornate degli ex bambini di strada con ogni possibile tinta estrapolata dalle loro personali tavolozze (Fedro, Elisabetta, Chiara, Eleonora, Marta, Agnese e Letizia: voglio nominarli tutti). Il tutto sotto il costante accompagnamento di Chiara Avezzano e Zhaneta Angelovska, stelle polari del nostro percorso.
Il mescolarsi di questi ingredienti umani alle “specialità locali” ha dato vita, anche quest’anno, a uno di quei deliziosi piatti multietnici il cui incredibile gusto non si riesce a descrivere a parole, ma che nutrono l’anima in profondità. Credo che tutti i campisti Amani capiscano benissimo ciò che intendo: un mix di sorrisi e qualche lacrima; riposo e lavoro; balli scatenati e studio concentrato; dialoghi aperti e silenzi; passi avanti da fare con coraggio e passi indietro da compiere in umiltà; criticità da affrontare e giochi da vivere in spensieratezza; attività programmate e capacità di improvvisare…
Volti, odori, sensazioni, suoni, emozioni e colori, declinati ora in un torneo di pallacanestro (ebbene sì: il famoso campetto di terra battuta ha ora un bel fondo in cemento e due canestri rimovibili, che consentono all’occasione di giocare anche a basket!), ora nella visita ai Rescue o alle basi di strada, ora in un festoso laboratorio di musica, ora nell’attesa di un pullman che ritarda, ora in un pasto condiviso… e la lista sarebbe ancora lunga.
Da questo genere di partenze non si può non ritornare un po’ scombussolati, ma estremamente arricchiti ed estremamente grati per quanto si è vissuto.
Al “Si parte” o “Si ri-parte”, che appartiene ¬– consapevolmente o meno – alla memoria di ogni campista e che denota la partenza come esperienza del singolo, se ne accosta un altro che è invece frutto di immaginazione, ma verosimile. Immagino una riunione in una stanzetta di via Tortona, in una giornata di inizio marzo; e immagino Gian Marco Elia che guardando negli occhi i presenti – i quali annuiscono e offrono in cambio sorrisi di entusiasmo e compartecipazione – ricapitola con fierezza la decisione presa: “Allora si riparte”.
Questo ripartire non è tanto un “partire di nuovo”, come lo era il mio di prima: è più un “si riprende”, “si ricomincia da dove si era dovuto interrompere”; e denota un atto non più del singolo, ma comunitario-associativo.
Per il volontario in quanto singolo il campo è qualcosa di episodico: un periodo circoscritto che all’interno della propria vita assume caratteri di unicità e spesso di eccezionalità; oltrepassando il livello individuale e considerando invece il volontario in quanto parte di un tutto che si chiama “Amani”, ecco che il campo è qualcosa di ben diverso: qualcosa di strutturale, di consolidato e attuato in modo continuativo. Un progetto a lungo termine (e potenzialmente senza termine!) di incontro tra le culture e quindi di promozione di relazioni rispettose e pacifiche. Un’istituzione, in cui si crede fortemente e nella cui complessa organizzazione ogni anno si investono energie e si mobilitano varie persone (col preziosissimo contributo sia dei dipendenti di Amani che dei volontari stessi), in modo da provvedere a tutti gli aspetti che la rendono possibile: dalla comunicazione, alla conoscenza e selezione dei candidati, alla loro formazione, alla programmazione congiunta assieme ai referenti africani, alla raccolta delle donazioni e al loro imballaggio per il trasporto…
Quest’istituzione, per due anni è stata purtroppo interrotta dalla pandemia, e si è potuto riprenderla solo quest’estate.
In questa stupefacente dinamica in cui il singolo e il comunitario restano ben distinguibili, eppure co-essenziali, in un tutto armonico e unitario, mi viene in mente che la chiave potrebbe essere in un’altra accezione del “ripartire”. I campi di incontro sono un’occasione in cui davvero, sotto tantissimi punti di vista, “si ripartisce”. Tempo, energia, cibo, sorrisi, preoccupazioni, risorse materiali, risorse economiche, risorse spirituali, preghiere, pensieri, spazi, veicoli, strumenti, emozioni… tutto quanto viene ripartito tra italiani e africani, tra bambini e adulti, tra uomini e donne, tra campisti vecchi e campisti nuovi, tra volontari e lavoratori di Amani, tra chi è tornato e chi ne ascolta i racconti… Questo ripartire è altrettanto stupefacente perché contiene due movimenti opposti: nel ripartire si mette in comune e si condivide. Il mettere in comune è un dare, un lasciare, un riporre; il con-dividere è un ottenere, un prendere, un ricevere. E alla fine ognuno ne esce alleggerito da ciò che lo appesantiva e arricchito di ciò di cui aveva bisogno.
Sarà questo paradosso del ripartire a spiegare la dinamica che nutre (e speriamo continui a lungo a nutrire) i campi?
Nel dubbio, in ogni caso… ripartiamo!
Daniele Oreficini, insegnante di Ancona, volontario di Amani dal 2017.