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Chandaria torna a casa
Anno XXI, n. 1 Giugno 2021 - di Anna Ghezzi
Quando Chandaria ha lasciato le sue montagne – portato a braccia da Alessandro Passadore, direttore di produzione della campagna CEI per l’8 per mille che, quell’anno, faceva tappa sui monti Nuba in un Sudan lacerato – aveva all’incirca 16 anni e non aveva mai visto una lattina di Coca-Cola. Ora di anni ne ha il doppio e da Nairobi torna a casa con un diploma in tasca, pronto a mettersi al servizio della sua comunità.
«Chandaria è partito per tornare alla sua terra, i Monti Nuba, in Sudan. Sarà un viaggio lungo, di più giorni. Era arrivato a Nairobi nel 2005, poco più che un bambino, lasciando una regione devastata dalla guerra. Torna mentre c’è una tregua». Così padre Renato Kizito Sesana il 13 marzo scorso lo salutava con un post su Facebook. C’è voluto quasi un mese di viaggio, con una lunga tappa a Juba, ma Chandaria Kadum Mohammed è finalmente a casa. Tra gli alberi, le capanne e i campi che aveva lasciato da ragazzino con la speranza di poter, un giorno, camminare.
I Nuba vivono nel Kordofan, un’oasi di fertilità e potenziale petrolifero incastonata tra il Darfur a ovest, il Sud Sudan a sud e l’area di Khartoum a nord-est. Per secoli venduti come schiavi, i Nuba sono stati isolati, affamati, lasciati senza scuole né ospedali dalle forze di Khartoum che hanno fatto di tutto per allontanarli dalle loro terre. Per 17 anni hanno lottato per l’indipendenza. Amani è stata la prima (e a lungo l’unica) organizzazione non governativa a portare supporto a questa popolazione collegata al mondo solo da voli clandestini.
«Siamo rimasti accampati per giorni senza sapere se e quando saremmo riusciti a partire», racconta Angelo Valsecchi, imprenditore e sostenitore di Amani che all’inizio degli anni Duemila aveva finanziato alcuni pozzi costruiti sui monti Nuba e aveva deciso di accettare l’invito ad andare a vederli. «Finalmente atterriamo – racconta – e, mentre scendiamo dall’aereo su una scala di legno vediamo questo ragazzo in mezzo alla sabbia, che cercava di chiedere l’elemosina, a quattro zampe. È il primo ricordo che ho».
Chandaria non cammina. Non ha mai camminato. Da piccolo poteva muoversi solo usando mani e piedi. C’è una foto di quei giorni, l’ha fatta Giovanni Todeschini che allora, vivendo a Kivuli, partecipava spesso alle missioni in Sudan. «Sui Monti Nuba Chandaria frequentava la nostra scuola con i muri di mattoni di fango e i tetti di erba secca, a Kerker – ricorda padre Kizito – facendo ogni giorno “solo” un paio di chilometri, non a piedi, ma a gattoni, per sentieri scoscesi e rocciosi. Due ore di strada. Ogni tanto lo trovavi con le mani e le ginocchia sanguinanti, ma lui sorrideva sempre». L’aereo da Nairobi gli ha portato le prime stampelle di legno, ben avvitate.
“Siamo in questa scuola nel nulla – racconta ancora Angelo – mi sveglio prima dell’alba. Vado in cima a un sasso che domina le vallate, tutto intorno ci sono collinette a perdita d’occhio. Il sole sorge e all’improvviso scorgo decine e decine di ragazzini che da tutti i lati, correndo, vengono verso la scuola. Salite e discese, i grandi davanti e i piccoli dietro, a fatica. Si percepivano il desiderio e il bisogno di sapere, la certezza che la conoscenza fosse garanzia di un avvenire migliore. Correvano verso un futuro migliore e una scuola in cui sarebbero stati seduti per ore su un pezzo di legno. Ma non avevano paura, vedevi nello sguardo la determinazione ad apprendere. Mi ha colpito questa fame, questo anelito, la speranza”.
Alessandro Passadore era lì con loro. È il 2005, deve fare un sopralluogo per organizzare la campagna CEI. Anche lui atterrato con un volo clandestino, a bordo dell’aereo c’era anche una jeep smontata. Sui monti, allora, non si vedevano molti mezzi di trasporto, sporadicamente passava il trattore di qualche missione anglicana. In compenso spesso compariva all’improvviso qualcuno da non si sa dove, con in mano un kalashnikov. Armi visibili e onnipresenti, tracce di guerra quotidiana. «Prima di ripartire per Nairobi – racconta Alessandro – Gian Marco dice che viaggerà con noi un ragazzo paralizzato alle gambe e mi presenta questo giovanotto che si trascina per terra, sempre sorridente. Un colpo al cuore. Lo portiamo a braccia dalla scuola alla pista di atterraggio, dove ci sono un enorme albero e la carcassa di un aereo. Saliamo sul cargo, io vicino a lui, lui attaccato all’oblò. Ci offrono un sacchetto. Mi chiede: “Cos’è?”. Un sandwich, rispondo. Poi tiro fuori la lattina, mi chiede ancora: “Cos’è?”. Ho capito che ero appena ripartito dalla fine del mondo: Chandaria, a 17 anni, non aveva mai visto una Coca-Cola». Di quel viaggio restano poche parole in inglese, Chandaria che guarda dall’oblò, il suo maglioncino verde annodato al collo, la camicia.
A Nairobi Chandaria finisce la scuola primaria, frequenta le superiori alla Domus Mariae e ottiene un diploma universitario in contabilità. Imparando dagli errori, superando le difficoltà. «Sempre pronto ad incoraggiare gli altri, a mettere pace in comunità quando c’era un’incomprensione – spiega padre Kizito – Chandaria ha le qualità tipiche della tradizione africana dei villaggi: buono, attento agli altri, capace di accettare ogni situazione». E alla metropoli si è adattato in fretta, accettando anche la delusione di non poter camminare, nonostante le cure: «Si è impadronito subito della sedia a rotelle a pedali e con la forza delle braccia sfrecciava per le strade di Nairobi come se avesse una Ferrari – sorride padre Kizito -. Con questa capacità di adattamento straordinaria è una di quelle persone con cui è facile sedersi a parlare, un leader naturale. Così, alla Domus è diventato un punto di riferimento, gli altri ragazzi trovavano facile e bello stargli vicino, aiutarlo anche se lui aveva imparato a fare tutto da solo. E così è riuscito a produrre anche un cambiamento culturale nel modo in cui a scuola vengono visti i ragazzi con disabilità». Mettendoli al centro.
A fine marzo di quest’anno il governo di Karthoum e il Movimento popolare di liberazione del Sudan-Nord hanno siglato un accordo di pace fondato sul principio del riconoscimento delle “diversità etniche, religiose e culturali” del Sudan. “Nessuna religione può essere imposta a nessuno e lo Stato non adotterà alcuna religione in modo ufficiale” si legge nel documento firmato a Juba. E così Chandaria si è messo finalmente in viaggio per tornare a casa, come desiderava. «Si va verso la pace – spiega padre Kizito – e la costruzione di un governo locale sui Monti Nuba. Come Koinonia sogniamo di riaprire la scuola per i maestri e attivare corsi di contabilità e business management. Il Sudan sta organizzando le autonomie regionali e la costruzione della struttura dei servizi amministrativi. Chandaria lavorerà duro per mettersi al servizio della sua comunità».
Nella foto: Chandaria sul volo che lo portò in Kenya
Credits: Gian Marco Elia
Anna Ghezzi, volontaria di Amani e giornalista de La Provincia Pavese.