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Africanfuturism
Anno XXI, n. 1 Giugno 2021 - di Pier Maria Mazzola
Potremmo cominciare da Black Panther, il film Marvel che ha portato sugli schermi il personaggio nato come fumetto nel 1966 (pochi mesi prima della fondazione delle Pantere Nere). Quindi passare alla musica, al jazzista Sun Ra, padre ante litteram dell’afrofuturismo – genere così battezzato solo nel 1994. Ma se ci avventuriamo nel mondo della fantascienza afroamericana non ce la caviamo più, tanto è vasta e ricca di nomi. Limitiamoci ad aggiungere, per il campo letterario, quello della profetica Octavia E. Butler. Per approfondire si può leggere (in inglese, 2013) Afrofuturism di Ytasha L. Womack.
E passiamo all’Africa. Che nell’ultimo decennio si è scoperta creatrice di fantascienza. A patto di intendersi sul termine, che, non solo nel caso africano, va integrato con molti altri: fantasy, (afro)cyberpunk, weird, realismo magico, post-apocalittica, slipstream… insomma qualsiasi opera che sia segnata dall’utopia o dalla distopia, con ambientazioni o incursioni in un futuro più o meno remoto o in mondi paralleli. E con elementi tra l’ipertecnologico e il magico sempre decisivi nell’economia del racconto. È stata foggiata, per questo frastagliato insieme, l’espressione speculative fiction. E difatti esiste anche una African Speculative Fiction Society (africanfutirusm), le cui attività culminano nel premio letterario Nommo (dal 2017), l’equivalente continentale dei premi Hugo e Nebula – i “Nobel” della sci-fi internazionale.
Andando a spulciare tra i vincitori, ne troviamo alcuni tradotti in italiano – Tomi Adeyemi (Figli di sangue e ossa), Akwaeze Emezi (Acquadolce), A. Igoni Barrett (Culo nero) – tra i quali è da mandare a mente soprattutto il nome dell’intervistatissima Nnedi Okorafor, ormai incontornabile voce dell’afrofuturismo d’Africa. «Trovo alquanto riduttivo – dice infatti – riservare il termine “afrofuturismo” agli Stati Uniti, quando riguarda l’Africa allo stesso modo». E lo afferma una che è statunitense, anche se di genitori nigeriani. E che, per evitare confusioni, ha coniato il termine africanfuturism. Sono già tre i suoi libri che possiamo leggere in italiano (Chi teme la morte; Laguna; Binti), cui vanno aggiunti i nuovi albi Marvel (editi da Panini) della saga di Black Panther da lei firmati dopo quelli di Ta-Nehisi Coates.
A proposito di Nigeria: è il paese che, con il Sudafrica, in questo genere letterario fa la parte del leone, fermo restando che, come in molti altri casi di artisti e scrittori, si tratta di autori… nomadi: “G2” che hanno riscoperto le proprie origini, o emigrati che mantengono con la terra natia un contatto vitale. Più rari sono gli scrittori di sci-fi di altri paesi africani anglofoni. Non pervenuta la francofonia, come constatava di recente Jeune Afrique, senza peraltro saperselo spiegare. (Resterebbe da esplorare il Nord Africa: per esempio l’algerino Boualem Sansal con il suo 2084. La fine del mondo).
È appena il caso di osservare come l’africanfuturism sia una chiave passepartout per entrare, con immaginazione e libertà, con il sorriso o usando il registro della satira più corrosiva, in temi che sono del presente ben prima che dell’avvenire: dalla corruzione politica e sociale alla condizione della donna, dal razzismo bianchi-neri alle discriminazioni all’interno di una medesima società, dagli avidi fondatori di chiese alle «truffe alla nigeriana» e, in positivo, dal necessario orgoglio e stima della propria identità alla necessità di abitare anche altre culture. «Gli autori africani – conferma la critica culturale Oulimata Gueye sulla parigina Revue du Crieur – s’impadroniscono della fantascienza come di uno strumento critico e politico per mettere in luce le disfunzioni che incancreniscono la loro società».
A dire il vero, se pensiamo a tutta l’immaginifica tradizione letteraria africana, orale e poi anche scritta, l’africanfuturism appare in fondo connaturale alla tradizionale arte di narrare. Non meraviglia che stia facendo breccia, specie tra i giovani (oltre ai libri ci sarebbe da considerare tutto il campo cinematografico, crossmediale e artistico, che si avvale anche della potente fucina di internet).
E chiudiamo con un’annotazione rubata all’antropologo Louis-Vincent Thomas: «La fantascienza è soltanto un approccio che, con linguaggio moderno, risuscita i miti di ieri dotandoli di nuova credibilità. O, da un altro punto di vista, ci si può domandare se essa non sia, per le odierne società, l’equivalente del mito fondatore per le civiltà tradizionali».
Nella foto: Illustrazione della copertina della prima antologia di fantascienza africana pubblicata in italiano.
Pier Maria Mazzola, direttore responsabile del bimestrale Africa.